PUBBLICAZIONI SAGGISTICA

SILVIO BENCO
«nocchiero spirituale»
di Trieste

a cura di Fulvio Senardi

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SILVIO BENCO «nocchiero spirituale» di TriesteIl volume Silvio Benco - «nocchiero spirituale» di Trieste che l’Istituto Giuliano ha pubblicato nel 2010 raccoglie le relazioni di un convegno tenuto a Trieste, presso la sede dello stesso Istituto Giuliano, nel 2009, anniversario della morte del grande intellettuale triestino. La sinergia dei sette studiosi che prendono la parola nel volume garantisce al libro il carattere di prima, ampia riflessione collettiva sulla figura e sull’opera di Benco, indubbiamente uno dei grandi protagonisti del giornalismo e della cultura triestina fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. L’ampio diapason degli interessi dell’intellettuale triestino – Benco è stato giornalista, narratore, storico (sia pure con spirito di divulgatore piuttosto che con ambizioni di ricerca originale), drammaturgo, critico letterario, musicologo – condanna alla parzialità ogni messa a fuoco della sua operosità che non consideri tutti, o gran parte di questi settori, nei loro intrecci e reciproche influenze. Nel volume dell’Istituto Giuliano ha scritto del narratore, con la competenza che la contraddistingue, Cristina Benussi, che vanta del resto una lunga familiarità di studiosa con l’opera di Benco. Ne esce il ritratto di un romanziere che molto attinge al contemporaneo dannunzianesimo, ma che è pur tuttavia capace di originali approfondimenti di caratteri e di ambienti e che sa cogliere, con sguardo particolarmente penetrante, molti aspetti della società del suo tempo. Della sintonia di Benco con l’atmosfera spirituale di Trieste nella sua più grande stagione, ha trattato Oreste Lippolis, a partire da un raffronto Benco - Svevo, che mette bene in evidenza le differenze ideologico-culturali fra i due scrittori, che pure si incontreranno in una collaborazione non andata a buon fine, quella relativa alla commedia sveviana Un marito. Del resto per capire quanto grande fosse la stima che Svevo sentiva per Benco basta ricordare il fatto che, in una lettera al critico francese Benjamin Crémieux, l’autore di Zeno lamentasse l’assenza del nome di Silvio Benco dal Panorama de la littérature italienne delCrémieux, che peraltro dedicava una certa attenzione a scrittori giuliani come Carlo Michelstaedter, Umberto Saba e allo stesso Svevo.  Antonella Braida si è invece occupata del Benco storico de Gli ultimi giorni della dominazione austriaca a Trieste: uno storico sicuramente partigiano, perché troppo coinvolto negli eventi che descrive, eppure capace di offrire,  in quello che Lucio Fabi ha definito uno dei primi e fortunati instant-book della storia di Trieste, un quadro unico dei cambiamento della sua città nel traumatico passaggio dalla dominazione austriaca all’Italia, con particolare riguardo alle dolorose vicende del tempo di guerra. Paolo Quazzolo ha illustrato l’impegno di Benco in campo drammaturgico. Fulvio SenardiNon solo e non tanto sul piano critico (non va infatti dimenticato che Benco ha dedicato oltre quattrocento articoli al teatro tra recensioni, ritratti di artisti, riflessioni sulla drammaturgia, analisi di autori, interpreti e correnti poetiche), ma in special modo come autore, essendo nati dalla sua penna – “esperimenti” come egli li aveva modestamente definiti – due lavori drammatici: L’uomo malato e La bilancia. Opere che, messe in relazione all’epoca in cui vennero scritte, considerate le tematiche e il loro svolgimento, la struttura drammaturgica e la scorrevolezza della scrittura, sono degne ancora oggi di considerazione, soprattutto per la novità di alcune anticonformiste prese di posizione. Pierluigi Sabatti sviluppa invece il suo contributo nella forma, quasi, di un colloquio da giornalista a giornalista. Un giornalista di oggi che ammira, in uno degli indiscussi maestri del mestiere, da una lato «la professionalità, umiltà e coscienza dei propri limiti, dall’altro l’«artista della parola, che sa usare la penna come pochi». Di tutt’altro carattere invece il contributo di Alberto Brambilla che si muove su un terreno squisitamente filologico, approfondendo il tema del particolare interesse che Benco ha coltivato per un poeta oggi quasi dimenticato, del quale il triestino ha curato nel 1927 a Milano, per i tipi di Treves, una antologia, arricchita da pagine diaristiche e di prosa: Le più belle pagine di Vittorio Betteloni. Opera notevole soprattutto per l’analisi introduttiva di Benco, che oltre ad illuminare alcuni aspetti della biografia e della vena poetica del Betteloni, ha ricostruito con cura i  passaggi fondamentali della sua ‘sfortuna critica’ rovesciando a volte in positivo alcuni giudizi che fino ad allora sembravano limitativi. Introduce il volume un ampio saggio di Fulvio Senardi, il curatore della miscellanea (e a cui si deve anche un contributo dedicato a Trieste, un volumetto del 1910 in cui Benco “racconta”, con trasporto e con un filo di faziosità politica, la propria città), che mette in rilevo, da un lato, la posizione politico-ideologica di un intellettuale che, ancorché a disagio con il fascismo, è stato sempre, a partire dagli anni della Trieste asburgica, organico all’élite liberal-nazionale della città adriatica, di cui ha sposato il feroce anti-slavismo e gli spiriti conservatori; dall’altro la “sapienza” interpretativa di un critico che, estraneo alle mode (e perfino a quel crocianesimo che, a partire dal primo dopoguerra, ha rappresentato la filosofia dell’arte più diffusa in Italia), ha confidato soprattutto nell’intuizione e nello stile per cercare di cogliere, spesso con ottimi risultati interpretativi, il segreto degli scrittori che veniva via via affrontando.

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