IL BANCO DI LETTURA

estratto dal 27-28/2002

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da RUBRICHE - a cura di Don Giuseppe Radole

NEL PRIMO CENTENARIO DELLA NASCITAGiuseppe Radole (Don)
LUIGI DALLAPICCOLA A TRIESTE

   Il nome di Luigi Dallapiccola (1904-1975), insieme a quello di Goffredo Petrassi, viene collocato - dopo la generazione degli "Ottanta" e prima di quella ultra moderna dei tanti che si sono nutriti alla Scuola di Darmstadt - tra gli esponenti di spicco nel primo movimento della musica moderna in Italia.

   Nato a Pisino da genitori trentini (il padre preside e la madre insegnante nel ginnasio-liceo italiano che dal 1894 al 1946 raccolse studenti da tutta l'Istria), dimostrò precoce attitudine alla musica tanto che i suoi gli fecero apprendere il pianoforte e lo affidarono a Pietro Pischiutta (Monfalcone 1885 - Pisino 1937), direttore della banda della locale Società Filarmonica ed educatore di musicisti in erba, suo primo e non dimenticato maestro, come ebbe a scrivere più tardi lo stesso Dallapiccola. A nove anni si produsse in un "concerto" della scuola nel Teatro Sociale davanti ad un pubblico elegante della Pisino bene, suonando La voce del cuore. Risultò il migliore del gruppo istruito da Pischiutta il quale subito dopo confidò alla madre che il suo ragazzo possedeva una speciale disposizione per la musica e che si sarebbe dovuto farne un musicista.

   L'anno dopo, il 29 giugno 1914, la tanto attesa sagra paesana dei Santi Pietro e Paolo fu improvvisamente interrotta dalla gendarmeria: a Saraievo erano stati assassinati l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria, e sua moglie. Seguì subito l'ultimatum alla Serbia e dopo un mese la guerra con pesanti ripercussioni in una zona di confine, che si aggravarono enormemente con l'entrata nel conflitto dell'Italia, il 24 maggio 1915. Francesco Giuseppe - scrive Dallapiccola - volle dare una lezione definitiva agli irredentisti, eredi dei rivoluzionari risorgimentali. Cittadini integerrimi vengono arrestati e deportati [in Austria nelle famigerate baracche], spie si introducono per ogni dove; nomi di città assumono un significato sinistro: Leibnitz, Mittergraben (...). Un quarto di secolo più tardi i nomi di altre città assumeranno un significato ancora più funesto: Auschwitz, Dachau, Buchenwald. Il liceo di Pisino venne chiuso perché scuola di protesta; la famiglia Dallapiccola, scortata da un gendarme, fu internata a Graz, dove, a parte la fame e le umiliazioni, per l'avvenire del ragazzo ci fu tuttavia qualcosa di positivo. Potè, infatti, farsi una cultura musicale frequentando il Teatro d'opera che dava spettacoli di buon livello, apprese bene la lingua tedesca e, soprattutto, nella sua coscienza di credente, nacquero delle convinzioni determinanti al fine degli indirizzi morali e artistici, umani e politici di tutta una vita. I valori della libertà, la ripulsa della guerra e di ogni oppressione furono da lui espressi e difesi con le sue opere, l'unica «resistenza» possibile ad un musicista. Lo stesso passaggio dalla tonalità alla dodecafonia, che maturò con gli anni, fu inteso da lui non come formula intellettualistica, bensì come una sintassi atta, tramite l'applicazione coerente dei procedimenti connessi alla sua tecnica severa, ad esprimere il tormento dell'uomo moderno (A.Mirt). A Graz si evidenziò pure sempre più appariscente la vocazione musicale del ragazzo, deciso a seguirla totalmente, e se con lo stesso ritmo cresceva il turbamento della madre, il padre vincolò l'assenso alla condizione che il figlio portasse a termine gli studi liceali, perché non è più l'epoca dei musicisti ignoranti.

   A guerra finita i Dellapiccola ritornarono a Pisino italiana e ritornò dalla baracche anche il maestro Pischiutta. Ma l'indirizzo della scuola, prima di ritornare ad essere liceo scientifico, fu cambiato in Istituto Tecnico, sezione fisico-matematica, dove il musicista conseguirà il diploma di maturità. E mentre si preparava a questo traguardo, cominciò, da pendolare delle domeniche, a venire a Trieste (dal 1920 ai primi mesi del 1922) per proseguire negli studi musicali con maestri più qualificati: pianoforte con Alice Andrich Florio, pianista formatasi al Conservatorio di Vienna, brillante concertista e valente insegnante (tra i suoi allievi anche Gino Tagliapietra), definita da Giulio Viozzi una delle migliori cultrici della didattica pianistica nella nostra città, e tale deve essere stata se Dallapiccola giunse al diploma (Firenze, 1924) dopo soli due anni di studio con Ernesto Consolo. Per l'armonia, invece, si rivolse ad Antonio Illersberg (e crediamo che abbia bussato alla sua porta su consiglio di Pischiutta, che ne era stato allievo di armonia e contrappunto al Conservatorio Tartini). Il maestro, dopo poche lezioni, capì subito che quell'alunno era potenzialmente qualcuno. Me ne ero accorto io, nel lontano tempo (così scriverà nel 1936) che in quei "temuncoli" d'armonia covava un ingegno che sarebbe andato un po' al di là dei confini dell'esame di armonia complementare. E Dallapiccola, scrivendo di quelle lezioni, ci informa che ogni occasione era buona per parlare degli autori del Cinque e Seicento, senza trascurare la nostra epoca nelle tendenze più moderne e più evolute, spiegando l'armonia cromatica, con esempi di autori come Schönberg. La stessa metodologia Illersberg usava negli anni Quaranta, quando prendevo lezione nella sua casa di Via Canova, commentandomi di Schnberg i Sechs ideine Klavierstüche e mostrandomi sì gli esempi del Trattato d'armonia ma anche pagine di Palestrina, di cui possedeva l'opera omnia.

   Nel maggio del 1922 il giovane Dallapiccola si trasferì a Firenze, con una scelta che ripeteva quella di tanti illustri giuliani, per studiare pianoforte con Ernesto Consolo (1864-1931), allievo di Sgambati a Roma e di Reinecke a Lipsia, insigne concertista e didatta, dapprima privatamente e nel 1923 al Conservatorio, pervenendo al diploma nell'autunno del 1924. Si diede allora al concertismo, suonando, dal 1930 in Duo con il violinista Sandro Materassi, con il quale fu anche a Trieste per la Società dei concerti. Nel 1923 si iscrisse pure ai corsi di composizione di Vito Pazzi (1881-1975), compositore neoromantico, docente a Firenze per più di quarant'anni. Al primo impatto gli parve di essere caduto male, in una città, musicalmente parlando, di provincia. Così si espresse nella "Rassegna musicale" del 1937: Per chi oggi è abituato a considerare Firenze uno dei più importanti centri musicali del mondo (...) non è facile immaginare che cosa fosse la città di Firenze nel 1922 e negli anni precedenti. La vita musicale non esisteva assolutamente. Ma esisteva un ristretto gruppo di artisti, che faceva capo a Ildebrando Pizzetti [direttore del Conservatorio] e che si adunava appunto in casa Pizzetti, ed è a questo gruppo che si deve in buona parte l'inizio della rinascita musicale della città. Pur avendo lodato la straordinaria capacità pedagogica di Frazzi, una volta passato alla dodecafonia, egli scriverà che l'insegnamento della composizione al Conservatorio di Firenze non ha avuto alcun influsso sul mio linguaggio musicale. Si diplomò in composizione appena nel 1932.

   Dal sostanzioso elenco delle sue opere mi sono proposto di ricordare qui soltanto quelle poche che rientrano nella sfera del mondo giuliano e in più le prime assolute. In risposta ad una domanda rivoltagli da Alessandro Mirt circa il suo periodo triestino, Dallapiccola gli scrisse: (...) sono io che mi domando se ci sia stato un "periodo triestino" nella mia vita. E mi pare che la risposta debba essere negativa. (...). Definire "periodo" un dato lasso di tempo implica esperienze di vita che - se ci sono state in vasta scala a Graz e a Pisino - non ci sono state a Trieste. Ma se anche non esiste un "periodo triestino", pur essendo stata triestina sua moglie Laura Coen Luzzatto, sposata nel 1938 all'inizio della campagna razziale contro gli ebrei, certa appartenenza del musicista alla terra giuliana è documentata da una serie di composizioni, in gran parte inedite e scritte non solo prima di essersi conquistato quello spazio che gli appartiene nella storia della musica ma anche negli anni della sua maturità. Era a Firenze da circa tre anni quando si lasciò stregare dalla poesia del gradese Biagio Marin (già allievo del Liceo di Pisino), il cui verso imbevuto di luce deve averlo attratto con un richiamo alla mediterraneità (V.Levi). La scelta cadde tra le liriche dei Fiuri de topo, la silloge che probabilmente era allineata nella biblioteca paterna, nella prima edizione del 1912. Musicò per canto e piano Nadal, Luna, Ordole (1924), seguite da Caligo (1926) e, per coro femminile, mezzosoprano e piccola orchestra, Due canzoni di Grado: La gno fantulina, Co vampa la to cavelada (1927), che ebbero la prima esecuzione nel Conservatorio di Firenze (1929). Della seconda (Co vampa...) il Centro Studi "Biagio Marin" di Grado possiede una riduzione per piano, probabilmente dello stesso Dallapiccola. Del 1928 è la raccolta per mezzosoprano, coro misto e orchestra Dalla mia terra, quattro canzoni su canti popolari istriani: Per la notte di S.Giovanni, Per un bambino, Per la sera della Befana, Per il mattino di Pasqua. Pubblicato è soltanto il terzo, per coro di ragazzi, piano a quattro mani e xilofono. Non posso non pensare che Dallapiccola sia entrato nel campo del canto popolare sull'esempio di Frazzi, il quale in quegli anni collaborava con il celebre studioso del folclore Michele Barbi della Normale di Pisa, nella rifinitura della famosa raccolta di canti popolari toscani di cui alcuni furono da lui rivestiti di accompagnamento pianistico. Penso che Dallapiccola l'abbia seguito su questa strada della ambientazione armonica sia delle liriche di Marin sia delle canzoni di Dalla mia terra. Quando frequentavo (1952) a Siena i corsi di Frazzi, so come egli amava farci conoscere quello che stava componendo (quell'anno alcuni brani di Segovia), quasi per sottoporlo al nostro giudizio. Poi passava ad esaminare i nostri elaborati coinvolgendoci nelle osservazioni e chiedendo pareri. La sua scuola era come le antiche botteghe dei pittori, dove il maestro dipingeva la sua tela e i discepoli la loro, scambiandosi tra loro dubbi e soluzioni. Il che è assai vicino a quanto ha scritto Dallapiccola, che cioè Frazzi aveva il raro dono di interessare noi scolari, considerando se stesso e noi al medesimo livello mentale e culturale, esponendoci i suoi dubbi, proponendoci le varie soluzioni dei problemi che gli si presentavano e quasi invitandoci a collaborare con lui. Da segnalare infine che resta tuttora inedita La Canzone del Quarnero (G. D'Annunzio) per coro e orchestra (1930).

   Dopo queste pagine del periodo scolastico, chiaramente tonali, le opere più significative che lo legano all'Istria, di omaggio al conterraneo violinista di Pirano, Giuseppe Tartini, sono la prima Tartiniana, divertimento per violino e orchestra da camera (1951) e la Tartiniana seconda (1956), in due versioni: per violino e pianoforte e per violino e orchestra da camera, dove è singolare l'assenza dei violini, per lasciare il campo al solista. Sono due divertimenti che elaborano temi di sonate del piranese, piegandoli sì alle esigenze della tecnica seriale ma conservandone la vivace grazia originale.

   Le esecuzioni di musiche di Dallapiccola a Trieste sono state diverse; ricorderò solo le prime assolute che furono due, la prima nel 1937 e la seconda nel 1950. Nel dicembre 1937 il coro dell'ACEGAT, diretto da Illersberg, esegue la Prima serie di cori su testo di Michelangelo Buonarroti il Giovane: Le malmaritate; I malammogliati (1933), pagine tonali madrigalistiche, di carattere burlesco-caricaturale, che si riallacciano alle maniere dei cinquecentisti Banchieri e Vecchi: frutti della scuola di Illersberg nel cui repertorio c'era sia la Pazzia senile che l'Amfiparnaso ? Forse sì, se si tiene conto di quanto gli scriveva il vecchio insegnante prima di prepararne l'esecuzione: (...) nel pomeriggio con una accurata e dilettissima rilettura della Sua I Serie che, più la rileggo e più mi piace per quella sua così fresca e fluente ritmia, ma ancor più per quelle sue magnifiche trovate, piene di così originale, frizzante e impertinente spirito caricaturale (...) piene di "nova inventione" come direbbe qualcuno dei miei cinqucentisti. Sia il coro delle Malmaritate (All'altrui spese, donzelle imparate) che dei Malammogliati (Chi imparar vuole a tor moglie / mastri esperti eccoci qui ) ebbero un'accoglienza trionfale, tanto che il secondo fu bissato. Le malmaritate figurano in un programma del Coro da camera olandese, diretto da Félix de Nobel, nella stagione sinfonica di primavera del 1967 al Teatro "G:Verdi".

   Nel marzo del 1950 furono eseguiti i Tre poemi per soprano e orchestra da camera (1949) su testi di Joyce (traduzione di E.Montale), Michelangelo e Manuel Machado (traduzione di Dallapiccola). Questi poemi, scritti nella più assoluta osservanza della tecnica dodecafonica sopra un'unica serie, sono dedicati a Schonberg in occasione del suo 75° compleanno. Si tratta di variazioni per la musica e per la vita. La prima assoluta si tenne al Teatro "Verdi", per la direzione di Hermann Scherchen, uno specialista e apostolo della musica moderna. L'esecuzione (alla quale fui presente) ebbe una buona accoglienza, grazie soprattutto alla magnifica prestazione vocale di Magda Laszlo.

   In veste di conferenziere, Dallapiccola parlò al Circolo della Cultura e delle Arti con una Chiacchierata sulla musica moderna (20 dicembre 1946) e in un incontro con il pubblico su Resistenza e cultura (19 maggio 1965), al quale partecipai ed ebbi il piacere di conversare a lungo con lui. Dallapiccola, oltreché con Schmidl e Illersberg, ebbe rapporti epistolari con molti musicisti triestini come G. Viozzi, A. Mirt (al quale fu grato per la cura con cui presentò, nel 1959, le sue opere in un ciclo per la RAT), C. de Incontrera, L. Toffolo, F. Vidali, R. Lantieri, G. Vidusso, V. Medicus, O. Fiume. Due compositori triestini dedicarono una loro opera alla memoria del Maestro: Claudio Bilucaglia il Notturno per orchestra (1977) e Daniele Zanettovich il Monumentum a L. D. per baritono e orchestra.

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